“La mia passione sono le due ruote. Nel ’63, con la Lambretta, accompagnai il Giro della Sardegna. Partii da Sanluri, il mio paese, vicino a Cagliari e poi da Cagliari a Nuoro. Era gennaio, una giornata gelida. Allora ero giovane. Oggi non potrei più farlo, ho 72 anni suonati, sono reduce da un intervento, però seguo il Giro, adoro il ciclismo!”.
“Io insegno spinning, ma mi piace anche andare in bici. Guarderemo l’arrivo da qui, sulla cyclette”.
“Questo è il torrone sardo tipico, è fatto con miele, bianco dell’uovo e frutta secca. Lo produciamo noi, ogni pezzo ha almeno tre ore di lavorazione. E’ una tradizione di famiglia. Veniamo da Tonara, è al centro della Sardegna, è la patria del torrone e noi facciamo torrone da generazioni. Qui da noi le tradizioni sono importanti, cerchiamo di mantenerle sempre. Poi le cose cambiano, ma l’importante è restare fedeli alle proprie origini. Per me il giro rappresenta un’occasione, è una giornata in più di lavoro…”.
“Il muro l’ho dipinto io. Mi è bastata una mascherina e un po’ di scotch. L’ho decorato con uno stencil. E’ il mio primo giro in assoluto e mi è sembrato giusto celebrarlo dipingendo questo muro. Questo rimarrà”.
“Ho un’attività qui, non posso dire di essere venuto apposta per il Giro, ma vederlo qui è bello, siamo contenti. Io personalmente non posso dirmi un appassionato. L’ho seguito di più quando c’era il Pirata. L’anno scorso con Aru ho ricominciato ad entusiasmarmi. Secondo me dipende dai momenti. Ci vuole il giusto corridore per emozionarti. Mi piace più la disciplina in sé, io sono uno sportivo, riconosco la difficoltà fisica rispetto agli altri sport: ci vogliono un allenamento e una costanza assurdi. Credo sia più bello da praticare che da guardare. Prendi il Giro, ti permette di vedere dei posti meravigliosi. Chiaro, non ti puoi fermare a guardare il paesaggio, però attraversi delle regioni spettacolari. Prendi la Sardegna: è tutta bella!”.
“Mi definisco una ex-fan accanita. Ho seguito tantissimo il ciclismo, ma non solo il giro, anche il Tour e la Vuelta. L’ultima volta che il giro è passato da queste parti io c’ero. Avevo 14, 15 anni. Erano i tempi di Gianni Bugno, Chiappucci e Pantani. Era la mia passione, ma non so dirti perché, non sono mai salita su una bici da corsa. Ho sempre apprezzato lo sforzo immane: è uno degli sport più faticosi che ci siano, se non i l più faticoso”.
“E’ la nostra prima volta al Giro!”.
“Siete appassionati di ciclismo?”
“Per niente”, ma come fai a non appassionarti a un evento così!?”
“Sono qui per lavoro. Siamo ancora in bassa stagione, i turisti arrivano alla spicciolata, e un evento come il giro ci permette di lavorare. Non sono un vero appassionato, pratico un po’ di sport, ma non il ciclismo. Ho perso un po’ di fiducia nello sport. Gli sportivi “D.O.C.”non esistono più. E’ un paradosso: la sportività non fa più parte dello sport”.

“Il giro è arrivato alla centesima edizione. Ha una storia incredibile. Siamo cresciuti tutti con la passione del Giro e tutti aspettavamo maggio nella speranza che gli organizzatori avessero portato una tappa del percorso vicino casa. E’ sempre stato un passaggio fondamentale nella vita degli italiani, non solo degli appassionati di ciclismo o di chi correva come me. Io ricordo ancora i primi confronti/scontri tra Moser e Saronni. Ricordo le loro battaglie e io crescevo ispirandomi a loro. Ora siamo qua, dopo le nostre lunghe carriere a vivere, seppur in maniera diversa, il giro lungo quelli stessi paesi, le stesse strade che ci hanno visto protagonisti. Pochi giorni fa, ad esempio, siamo passati dalla Calabria, che mi vide indossare la Maglia Rosa, io che il giro non l’ho mai vinto. La soddisfazione, però, di portarmi quella maglia fino in Toscana, da Grosseto a Pistoia, e indossarla davanti alla mia gente, ai miei tifosi, fu immensa. Il Giro è questo: emozione. E’una grande festa popolare perché non siamo noi a dover andare a cercare il giro, ma è la corsa in rosa che viene da noi. Siamo qui e alla gente basta aprire una finestra per trovarsi magicamente sulle strade della corsa più dura del mondo nel paese più bello del mondo”.
Paolo Bettini – campione olimpico su strada ai Giochi di Atene 2004 e campione del mondo 2006 e 2007
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“Ero presidente della società sportiva dove correva Gino Bartali da giovane. Siamo diventati molto amici, lo frequentavo quotidianamente, sempre, dal giorno in cui ci siamo conosciuti fino all’ultimo. Io ero lì. Era il 1987 quando pensai di dedicargli un museo perché lui non era solo un grande campione, era un grande uomo: dolce, scorbutico perché diceva sempre quello che c’era da dire, e sincero, veramente molto sincero. Mi venne questa idea del museo, ma lui non voleva. Non voleva raccontare degli ebrei. Dopo tanti anni ancora non voleva essere scoperto. Lui il museo non lo voleva. Disse “va bene” solo a patto che si fossero raccontate anche le storie di chi andava sì più piano di lui, ma facendo più fatica. Perché la fatica è il valore. Allora facemmo il Museo del ciclismo, con la storia del ciclismo e della bicicletta. Abbiamo cercato di mettere qui quello che Gino avrebbe voluto. Moser ci regalò la ruota lenticolare del record dell’ora, Alfredo Martini la Maglia Rosa che indossò per un solo giorno nel lontano 1950. Nel 1990 Bartali mi diede le sue tessere da corridore, dove c’è ancora scritto Società Sportiva Aquila. Quello è il pezzo del museo che ho sempre sentito un po’ più mio, ma ciò che resterà sempre nel mio cuore è il rapporto che avevo con lui. Quello che sto facendo, se sono ancora qui, dopo 2 interventi al cuore, è perché venga rispettata la volontà di Gino. Noi non eravamo amici, di più. Aveva 3 figli, forse io ero il quarto”.
Andrea Bresci, museo del ciclismo di Ponte a Ema
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“Abito qui. Vado in bici su queste strade. Non è semplice”.
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“Vengo dagli Stati Uniti, sono una fotografa. Ho appena fatto gli ultimi 20 km della corsa ed è stato fantastico. Negli Stati Uniti fanno vedere solo il tour. Conoscevo solo quello ed ero una gran tifosa di Greg LeMond. Poi ho scoperto il Giro nel 2005, quando vinse Paolo Savoldelli. Ora abito in Italia, a Bassano del grappa. Adoro l’Italia e Bassano è perfetta per andare in bici. E’ colpa del giro se mi sono trasferita qui”.
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“Noi adoriamo l’Italia. Lui è venuto al giro per la prima volta e vederlo indossare la prima Maglia rosa è stata un’emozione grandissima”.
Sabine Maria mamma di Lukas Pöstlberger – Bora – Hansgrohe
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“Non siamo appassionati di ciclismo, giochiamo a calcio, ma il giro è un po’ come quando gioca la Nazionale. Unisce tutti e sono tutti davanti alla TV per guardarla, non puoi farne a meno.”
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“Il giro festeggia 100 anni, oggi è la tappa dedicata al Sagrantino Montefalco e noi festeggiamo i 25 anni della DOCG di questo meraviglioso vino. La città è meravigliosa, tutta in rosa e credo che abbiamo omaggiato il giro nel miglior modo possibile. Era doveroso indossare questa giacca. E’ una giornata di festa, speriamo vada tutto bene e che tutto il mondo possa vedere questo meraviglioso territorio. Vedete il giro ha questo ruolo fondamentale, questa capacità di far scoprire le bellezze del nostro paese. Il ciclismo poi, è veramente come il filo che unisce tutto questo”.
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“Quando correva nel “Bottegone” un giorno, si stava scaldando per la corsa, passò accanto a un contadino che stava vangando con la cavalla. Lo vide e gli disse: “Non si vanga così”. Scese dalla bici e iniziò a vangare alla sua maniera, alla Trentina. Poi risalì in bici e vinse la corsa. Era il 1971. Lui era Francesco Moser. Vinceva tantissimo, 17, 18 corse l’anno, poi vinse il campionato italiano”.
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“Vengo dalla Toscana, dalla Versilia, sono venuto qui per il Giro. Non in bici eh, di chilometri ne faccio tanti ma sarebbero troppi. Vengo tutti gli anni a vedere qualche tappa. Un po’ di montagna, un po’ di cronometro, si approfitta dell’occasione. Sono stato un grande tifoso di Moser. L’ho conosciuto, siamo stati anche a cena insieme. Ha corso ai miei tempi, da dilettante correva nel “Bottegone”, proprio in Toscana. Il ciclismo l’ho sempre seguito. Ho cominciato a 15 anni a correre in bicicletta, ho smesso 4 anni fa. Prima da dilettante e poi da cicloamatore, fino a 64 anni, poi ho detto basta, son troppo vecchio. Però la bicicletta non riesco ad abbandonarla. I miei 15, 16 mila chilometri l’anno li faccio sempre.”
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