“La bicicletta è la penna che scrive sull’asfalto” – Guy Demaysoncel
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“Il Giro d’Italia che ho fatto io, non con i professionisti, con 2 amici, partiti dal Veneto, siamo andati fino a Roma e tornati. Quando abbiamo fatto la tappa da Bologna a Firenze, abbiamo fatto il passo della Raticosa e Futa e le strade erano da asfaltare. A un certo punto abbiamo messo il piede a terra. Non ce la facevamo più. In quel momento scendeva un ragazzino giù, dalla curva distante 50 metri e gli chiediamo ”quanto manca alla cima?“. E lui ci disse ”quattro, cinque chilometri…“. Sfiniti ci sedemmo sul ciglio della strada e dopo un’ora, con le gambe di legno, ci alzammo e andammo su a piedi perché non ce la facevamo proprio. Facemmo i 50 metri e, dopo la curva, iniziò la discesa. Quel ragazzino ci aveva preso in giro.”
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“Sappiamo che c’è il Giro in città. L’abbiamo letto sul gruppo di facebook dell’Università. Forse andremo a vederlo, ma se ci sono le lezioni non potremo.”
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“Si pesca ma c’è poca vendita. Ormai i giovani non comprano il pesce perché non hanno voglia di cucinarlo. Stiamo perdendo tutte le tradizioni di un tempo. Il Giro è una tradizione. Lo vediamo quando siamo a casa, quindi quasi mai. Lavoriamo dal lunedì al venerdì. Quindici, sedici, diciassette ore al giorno.”
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“Da ragazzo ho messo da parte i soldi per più di un anno per comprare la mia prima bicicletta. Era verde scuro, bellissima, col manubrio dritto sportivo di cui ero orgoglioso, mi sembrava di avere una Ferrari. Dopo un mese me l’hanno rubata proprio fuori dal negozio di ferramenta dove facevo il commesso, pensavo fosse uno scherzo e invece era proprio vero. Mi avessero pugnalato non avrei sofferto così tanto! Dopo qualche mese mio padre mi regalò una bicicletta identica a quella. Da quel momento quando facevo le consegne a domicilio per il negozio me la mettevo in spalla sulle scale fino alla porta del cliente che sorpreso mi diceva: “Guardi che io non ho ordinato una bicicletta!”. Di quella bicicletta del 1955 conservo ancora il telaio perché è uno dei ricordi più belli della mia vita.” Vittorio Adorni, vincitore del Giro d’Italia 1965 e del campionato del mondo 1968
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“Noi facciamo puro cicloturismo. Ci godiamo le bellezze della nostra Calabria. Purtroppo qui non abbiamo molte piste ciclabili e dobbiamo sempre lottare con gli automobilisti. Non andremo alla partenza della tappa ma qualche km più avanti per vedere i ciclisti passare.”
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“Quando ho saputo che sarebbe passato il Giro ho comprato un libro. Volevo saperne di più. Ho scoperto che agli albori c’erano campioni che facevano lavori umili, come lo spazzacamino, ed erano riusciti a sfuggire alla povertà grazie al ciclismo. Facevano tappe anche di 400 Km. Si partiva a mezzanotte per arrivare nel pomeriggio.”
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“Non posso andare a vedere la partenza del Giro a Catanzaro perché lavoro. Fosse stato di domenica sarei andato ma l’hanno messo di martedì. O il lavoro, o la bici. Giusto?”
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“Il mio lavoro consiste nel cucinare e preparare il cibo per i corridori durante tutti i grandi Giri. Seguiamo la squadra per 135 giorni l’anno. Ovviamente è stancante, sei sempre in movimento, non hai mai un giorno completo di pausa per rilassarti e fare quello che vuoi.Per me è la combinazione perfetta tra viaggiare e cucinare. E’ un lavoro perfetto.”
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